Un ristorante all’interno di un ristorante. Si può fare? Assolutamente sì. Può funzionare? Certo e la conferma l’ho avuta a fine Dicembre da Gianfranco Cancelli giovanissimo chef alle redini di Anko, un piccolo ristorante all’interno di Sambamaki, un ristorante che propone sushi a Viale Regina Margherita.

Un tavolo circolare e quale seduta convenzionale per meno di 30 coperti. Fine. Questo il regno per niente democratico dello chef che offre una proposta gastronomica unica e non convenzionale.
Gianfranco – Anko per gli amici – 25 anni, originario di Sora ma “gitano nell’animo”, si avvicina subito ai fornelli e viaggia in tutto il mondo per apprendere le tecniche e le tradizioni più disparate e dar vita ad una sua filosofia culinaria originale. Torino e la Sardegna le sue prime tappe, poi a 19 anni un periodo trascorso a Londra “a sfilettare migliaia di tonni rossi del Mediterraneo”. Quindi Milano, la Russia e ancora Roma, l’interessante esperienza in Tunisia con le sue aste del pesce, Capri, e l’ultima significativa tappa in Giappone per seguire i corsi dell’Accademia Culinaria TSA (Tokyo Sushi Academy).
Indole piratesca da giramondo senza frontiere e senza barriere mentali, Gianfranco si fa paladino di una nuova cucina romana, vibrante ma godibile, straniera ma comunque radicata nella Roma più pop e artistica.
Il risultato? L’ho appreso e compreso al massimo a cena, seduta al suo tavolo circolare con al centro lui a nappare anatre, ultimare gazpachi di melagrana e rifinire scatole di finti noodles di calamari.
“Nei miei piatti c’è un pensiero fisso, la volontà di non essere classico. Ho una certezza che mi guida nel processo creativo: so bene cosa non voglio essere! Darò sempre la priorità all’istinto, guidato dalla mia curiosità”.

Si percepisce subito l’anti – classicità di Gianfranco dalla presentazione del menù all’interno di una busta delle lettere sigillata con cera lacca. All’interno pochi piatti dai nomi bizzarri, misteriosi e sicuramente accattivanti.
Otto portate scelte da Gianfranco per 60 euro. Otto portate che quasi settimanalmente cambiano, si evolvono in base all’offerta del mercato e all’estro dello chef e ti invitano, alla cieca, nei meandri espressivi di questa cucina.

Al buio e senza paura, parto con un benvenuto composto da più assaggi – meritevoli, contrariamente alla maggior parte dei “benvenuti offerti dalla cucina” di un dispendio calorico: brodo di funghi; indivia belga, gel di carpione e maionese di funghi sfumati alla soia; buccia di topinambur essiccata con purea di topinambur e tonno crudo e si chiude di nuovo con un brodo in stile dashi con pack choi. Netti, profondi e rapidi da gustare aprono le porte a una carrellata di piatti sempre più provocanti.

Arriva in stile “pranzo dello studente fuori – sede” un set di scatolette di alluminio ripiene di crudi di pesce. Si parte dal nigiri di sgombro appena agrumato con salsa ponzu e yuzu, da mangiare rigorosamente con le bacchette; tagliatella di seppia con purea di sedano rapa, quinoa soffiata e rapanelli, fresca e dalla consistenza straordinaria; sedano e mele al miele, spuma di yogurt, ricci di mare della Galizia, daikon e nanami (una spezia giapponese). Insomma un manifesto dello stile di vita di Giancarlo amante dei fast food e del cibo spazzatura, come confessa.

Piatto sicuramente della serata è il Gazpacho di melagrana (senza pomodoro e con meno aceto del normale), viscoso, acido, fresco ma al contempo profondo. Non solo bello ma anche dannatamente buono e ben abbinato al wafer al sesamo e mandorle con un crudo di ricciola affumicata a freddo.

Interattivo e divertente è il Tributo a Bansky: un’insalata di mare destrutturata con polpo, gamberi e calamari in più consistenze, verdure croccanti ed un gel di Schwepps. La cosa più divertente? Il servizio su una lastra di vetro con al di sotto un Ipad che proietta una delle opere più celebri dell’artista. Chapeau.

Un fuori menù bizzarro arriva dentro la scatola del delivery cinese che siamo soliti vedere nelle serie tv americane. Sollevo i lembi della scatola e trovo cosa? Una zuppa di pesce in stile bouillabaisse con finti noodles di seppia lasciati crudi. E’ da questi piatti che si nota la sapienza tecnica di Giancarlo e della sua brigata.

E non poteva mancare il cartone della pizza in omaggio a Magritte e alla sua pipa. Perchè, infatti, non aspettatevi una pizza margherita al suo interno ma un Okonomiyaki, ossia una pseudo frittata giapponese con verza, salsa di anguilla affumicata, maionese e scaglie di katsuobushi.


Poi arriva un kebab fai da te da farcire con carpaccio di wagyu australiano, salse e contorni vari. Semplice ma sempre e comunque ludico.

Spigola e anatra concludono la parte salata della cena. La prima è acida, umami e cotta magistralmente avvolta nell’alga kombu. La seconda è piaciona, con mordente e classe, in vecchio stile francese.


E allora Anko in una parola? Provocazione. Senza dimenticare tecnica e sapore.
Dimenticate ridondanza e sovrastrutture architettoniche, perché il carattere di Anko si esprime attraverso semplicità ed originalità, linee essenziali e scelte stilistiche ben studiate, pensate e volute da Gianfranco e Riccardo Di Salvo, già proprietario e padrone di casa anche del Samba Maki: il civico 168 di Viale Regina Margherita diviene quindi la porta d’accesso di un ambiente che racchiude più anime unite dal nero colore delle pareti e divise da neon fluorescenti in stile Blade Runner da una parte e luci chiare dall’altra.
Anko
Viale Regina Margherita, 168
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