Siamo tutti un po’ masochisti. Amiamo tutti far del male al nostro corpo, a volte.
Sì, a volte, io, mi concedo uno strappo alla regola. Basta cibo biologico, frutta, verdura e carne poco condita: tu, Signor fast food, citofona al mio portone e con tutte le scarpe entra, ti prego, a casa mia.
Ieri era il compleanno di Diletta…si può mai festeggiare con ostriche e champagne? Assolutamente no.
Alzo la cornetta del telefono, digito il numero trovato su Just Eat e dopo una mezz’ora ecco arrivare l’ospite tanto atteso: il Cinese.

Trovandomi in Via del Governo Vecchio, dietro Corso Vittorio Emanuele, tra Piazza Navona e Via Giulia, ho chiamato KOI, ristorante cinese/giapponese in zona Trastevere. Dopo un’amorevole telefonata al ristorante della durata di 30 minuti – eravamo molto indecisi sui piatti da scegliere – abbiamo, voracemente, atteso la nostra cena.

Un’ora di attesa e alle 22:00 arriva il mitico cameriere tuttofare Jim con due buste cariche di scatole.
Dividiamo alla romana, paghiamo, scartiamo e iniziamo a mangiare.
C’è chi, mentre alcuni apparecchiano, spizzica due nuvole di drago (cibo mai compreso: è una patatina sciapa e senza identità); c’è chi, mentre alcuni spizzicano due nuvole di drago, apparecchia; c’è chi, mentre alcuni spizzicano nuvole di drago e alcuni apparecchiano, scatta foto.
Foto dell’autrice
Dopo questa differenziazione di ruoli si torna all’uniformità: tutti iniziano a mangiare di gusto, anzi, a sfondarsi di gusto.

Una vaschetta di riso alla cantonese, due ravioli alla piastra, un involtino primavera a testa. Solo Diletta, temeraria, ordina gli spaghetti alla piastra. Emanuela, invece, neo-celiaca tiene sottobraccio il pollo alle mandorle.

Forchetta alla mano (la bacchetta non è funzionale ad una cena da leoni in cui un boccone deve contenere minimo 80 grammi di mangime) e iniziamo dal riso.

Poco condito: poca la presenza dell’uovo e del prosciutto, assente il gamberetto per un tanto atteso riso mari e monti come solo la mia ex-tata Ofelia sa fare, tanti i pisellini. Davide, devastato dalla mancanza di sapore all’interno di questo piatto, aggiunge di propria iniziativa un intero bicchierino di salsa agrodolce (quella degli involtini primavera per intendersi): GENIO. Divorato in 3 minuti.

Passiamo ai gyoza, o dim sum, alla piastra ripieni di carne. Li sezioniamo, come gli allegri chirurghi, mangiando prima il ripieno e poi l’involucro. Vi prego non fate come noi: un boccone unico e passa la paura. In caso contrario, vi ritroverete in bocca, inizialmente, un miscuglio eterogeneo di carne e altri non pervenuti ingredienti, e poi un gommoso impasto dai tempi di masticazione quasi equiparabili a quelli del cocco fresco. La salsa di soia aiuta a coprire eventuali (direi sicuri) errori di percorso. Seguiteci su una cosa però: ordinateli grigliati, almeno un sapore lo avranno.

E’ tempo del pollo fritto: bocconcini di pollo in tempura adagiati su una modernissima foglia di lattuga che durante il tragitto ristorante-casa si è ben impregnata di olio. La tempura è atipica, molto gialla e spessa…non voglio sapere cosa c’è dentro. E il pollo? Duro come la suola delle Dr Martins. D’altra parte non puoi fare a meno di mangiare: sono come i pop corn, uno dietro l’altro.

Ci consoliamo con qualcosa? Pollo alle mandorle e involtini primavera. Il primo è sugoso, morbido, con carote, baby pannocchie e bambù croccanti e ben evidenti.

Il secondo è il classico spring roll, per nulla unto e riccamente farcito. Ottima la salsa di accompagnamento – la stessa con cui abbiamo condito il riso.

Vino a basso prezzo e acqua innaffia e annaffia i nostri palati sull’orlo di una crisi di sale: avremmo forse aggiunto troppa soia?

E così, con due chili in più nello stomaco, ci avviciniamo alla torta con le candeline. Una fetta a testa e si guarda SLAM.

Ore 3:47. Per il motto “non si butta via niente” ci finiamo gli ultimi residui di pollo fritto, freddo e ricoperto di zucchero a velo.
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