Simone Puteo, romano di nascita e giapponese d’adozione, mostra una passione sconfinata per il Paese nipponico, ma guai a chiedergli un uramaki classico – magari con salmone e avocado .
Il suo Doku è un Japanese bar che si distacca totalmente da qualsiasi Sushi Bar della Capitale, sia per il menù sia per la vasta scelta di Sakè da abbinare o bere prima, durante e dopo la cena.

Il locale è piccolo ma accogliente con un bancone – cucina sulla sinistra e i tavoli sulla destra che danno la possibilità ai commensali di vedere le tecniche di preparazione di ogni singolo piatto.
Tante e variegate le proposte e gli ingredienti, tutti conditi da una solida consapevolezza di dove si vuole andare e quale strada si vuole percorrere.
Simone da oste 2.0 qual è mi chiede se può decidere lui cosa farci assaggiare senza “esagerare”. Istintivamente accetto di buon gusto.

In un attimo mi trovo di fronte a un Chiho – Cantina Obana 15,5% – Sake di riso dall’aroma di mandorla e banana e fieno giallo non eccessivamente dolce ma deciso, abbinato a degli Ebi – ravioli di gambero con scalogno e cavolo cinese – a dei Tako yaki – polpette di polpo in pastella di acqua, farina e lievito di birra leggermente speziata – a dei Tori gyoza – ravioli di pollo macinato con zenzero fresco e cipolla cinese – ed infine a dei Yasai gyoza – ravioli di cavolo cinese, verza cinese e sansho, una spezia simile al lemongrass.

Anche se le porzioni dei piatti non sono eccessive, credevo ci fossimo fermati lì e invece, tempo di girarmi verso il bancone, e vedo Simone tornare al tavolo con un altro Sakè della cantina Obata Karakuchi – Stile Junmai, duro, strutturato e salino con aromi forti.

Ovviamente, tempo di sorseggiare il nuovo sake’, che ecco arrivare sul tavolo un filetto di ricciola giapponese di Kumamoto ( zona del Giappone) marinato con cedro, salsa di soia, olio di edamame, sale rosa e pepe sansho.
Accompagnato dalla ventresca della stesso pesce marinato allo stesso modo.
Non male la qualità della ricciola, ma la vera protagonista è la marinatura che rende il piatto non eccessivamente speziato grazie alla sapidità del pesce stesso e dell’olio.

Come finisco anche la ventresca, di nuovo Simone torna in persona con un filetto di salmone norvegese selvaggio marinato 24h con salsa teriyaki fatta in casa a base di soia, mirin, sake sdolcinato, sake secco e zucchero e glassa di teriyaki preparata, però, con soia affumicata. Anche stavolta è la marinatura ad essere la regina.
Ora voglio prendere in contropiede il buon oste e gli dico: mi avevi spiegato che cucinate anche della carne… Neanche il tempo di concludere e vengo interrotto da un sorriso a 32 denti di Simone e una cameriera con, in una mano, una Tataki di vitella marinata con soia, senape francese e aceto di riso, e nell’altra, una Tataki di manzo marinato con ponzu, salsa a base di soia cedro e sakè arricchita con brodo di pollo.

Anche qui la carne non è male ma è la marinatura questa volta più diretta e incisiva ad essere la regina del piatto.
Tempo di chiedergli un’informazione sulla marinatura che Simone torna con un Omeshu, unliquore alle prugne fresche, e uno Shocho da bere assolutamente dopo, a detta di Simone.
Lo Shocho è un distillato tradizionale delle cultura giapponese che, riallacciandoci al discorso iniziale, non si trova chiaramente con molta facilità.

Per concludere non potevano mancare i Dorayaki, dolcetti giapponesi di forma tonda uniti tra di loro dalla farcitura del “Anko” , una crema dolce che si ricava dai fagioli rossi Azuky, quelli di Doraemon per intenderci.
Ma Simone, a differenza di Doraemon, sembra essere munito di ottimi piatti e interessantissimi Sakè per ogni evenienza invece dei chiusky (gadget usati in ogni momento dal cartone animato ).
Giuro che la prossima volta non mi farò fregare e proverò a fare goal in contropiede al nostro caro Simone.
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