Occhiaie fino alle ginocchia, un volto che grida sonno e una voce frenetica di raccontare. Così era Ciro Scamardella la sera in cui sono andata a trovarlo nel suo nuovo ristorante.
Era il 4 Giugno quando tutti i maggiori giornali di settore annunciavano la notizia dell’anno: il ristorante stellato Pipero cambia chef. E lo chef ad arrivare fu proprio Ciro.
29 Luglio, ultimo servizio da sous chef all’altrettanto stellato Metamorfosi.
31 Luglio, già con la nuova divisa a gestire la brigata del numero 250 di Corso Vittorio Emanuele II.

Tanta la paura, tanto il rischio di deludere le aspettative, tanto il desiderio di stupire e di raccontare, finalmente, la propria storia.
Una storia fatta di tecniche, esperienze in giro per il mondo, ma sopratutto una storia di casa.
Si dice che i giovani non vedano l’ora di scappare dal nido famigliare, di tagliare il cordone ombelicale che li tiene stretti nelle grinfie delle madri. Ma Ciro si conferma quell’eccezione alla regola che fa piacere conoscere.
La famiglia per lui è tutto. Bacoli, la sua città natale, non la cambierebbe per nulla al mondo. E’ sempre lì che torna nei momenti di pausa, è sempre a lei che pensa.
Non a caso il menù, che piano piano sta elaborando nella neo cucina, la racconta alla perfezione.
C’è tanto sole, tanto cuore, tanto amore – si ringrazia Valeria Rossi e la canzone Tre Parole per l’ispirazione.
Il benvenuto con cui accoglie tutti i clienti è un inno al Sud.
Alla tavola spoglia arrivano varie ceramiche ognuna contente uno stuzzichino diverso.

C’è Come una bruschetta al pomodoro da mangiare in un sol morso. L’antipasto per eccellenza in qualsiasi pizzeria o trattoria, turistica e non, qui viene stravolto.
Il pane avanzato dai giorni passati viene reidratato con l’aggiunta di semi di chia, particolarmente ricchi di mucillagine, frullato, steso su una placca e essiccato.
Al posto dei semplici pomodori tagliati a pezzettoni e conditi olio e sale, Ciro ha pensato di proporre i San Marzano in consistenze diverse. Quindi c’è una parte dei pomodori disidratati al 50%, più carnosi, una parte disidratati al 100%, più sapidi, e poi c’è un’acqua di pomodoro leggermente addensata. Foglie di cappero e pimpinella chiudono il cerchio aromatico.
Sfortunatamente era l’ultima bruschetta al pomodoro dell’anno. Adesso c’è pane, formaggio e pere.

Sul vinile c’è The Sound of Food, orecchia di maiale soffiata, paprika affumicata, mostarda di Cremona e levistico. Quando la mordi riproduce la più golosa delle note musicali. L’orecchio che dovrebbe recepire i suoni, in questo caso li emette.

Senza dubbio lo snack più divertente è Al vapore ma cafone, un bun cinese cotto al vapore ripieno di coda alla vaccinara. Essendo l’unico stuzzichino caldo, è consigliabile mangiarlo per primo.

Nasce come forma di protesta a tutti quei ristorantini che sul mare propongono la calamarata nel cestino di Parmigiano, gommoso e amaro, la leggerissima cacio e pepe. Si tratta di una specie di waffle preparato con un 60% di pecorino, un’acqua infusa al pepe e amido.
Sapida e appena amara chiude perfettamente il circo degli stuzzichini.

Un inizio divertente e dinamico, accogliente e famigliare che fionda il cliente nelle caotiche atmosfere napoletane.
Si mangia con le mani e si continua a farlo con la Mozzarella con sorpresa.
Chi mai avrebbe pensato di inserire in un menù stellato uno spicchio di mozzarella da mangiare in purezza con le mani?

D’altra parte la mozzarella è buona così. Non va trasformata in un gelato. La sua bontà sta nel succo e nel morso.
Ecco allora che Ciro ha pensato di proporre una metà della mozzarella di bufala Barlotti su un piatto di porcellana forato – il piatto è stato diseganto da Ciro e creato appositamente per lui da un’artigiana locale – dai cui fori sgocciolerà il siero della mozzarella che a sua volta condirà ciò che è celato dal piatto: topinambur arrostito sulle braci, limone pane – detto anche limone di Procida – daikon marinato nel miso e crema di topinambur al latte. La merenda dei campioni a base di limone pane, sale e pepe si trasforma nella tanto agognata acidità ricercata da ogni chef.

Dopo aver morso la mozzarella bisogna fare la scarpetta al condimento sottostante e non c’è niente di meglio di un cubotto di focaccia calda cotta al momento, anzi fritta al momento.

Sono entrata in cucina solo per vedere l’opera: l’impasto steso viene dorato, esclusivamente da un lato, sul fuoco, con tanto olio alla base, e poi ultimato in forno. Scendono le goccioline di sudore dalla fronte dei cuochi…E se si brucia? Hanno un’unica possibilità per sfornare un capolavoro. E direi che ci sono riusciti splendidamente. Riscaldare la focaccia è da vigliacchi: in cucina l’attimo, l’istante d’ansia dove tutto si decide deve far da padrone.
Le provocazioni non finiscono qui.
Mentre tutti i ristoranti più in vista ricercano le frattaglie, Ciro ha deciso di inserire in carta il tanto bistrattato filetto.
Come secondo c’è un filetto cotto alla brace su rami di ginepro e glassato con il suo fondo. Il ginepro torna sotto forma di polvere. La gelatina di gin, i cavoletti di bruxelles e la crema inglese arricchiscono la carne, di grande impatto.

E il resto del manzo? Che fine ha fatto? Lo ritrovate in uno degli antipasti, la battuta di coscio di manzo affumicato condita con il grasso dello stesso animale. A rinforzare il sapore carnoso c’è una maionese di vitello affumicata, mandorle sia in crema sia tostate e acetosa, un’erba acida simile all’acetosella. E’ una battuta tagliata volutamente grossolana per apprezzarne al meglio la fibra e far faticare e rivivere le gengive, sempre più abituate a creme, spume e vellutate.

Il massimo della provocazione si raggiunge con il Bacio con la Lingua. La classica lingua in salsa verde, ricca di aglio, acciughe, viene racchiusa in un velo di glassa di olive nere che ricorda il cioccolato amaro. Come da tradizione in cima alla sfera c’è la nocciola e sul fondo a dare croccantezza un disco di pane. Si mangia in un sol boccone, dopo aver tolto la carta stagnola.

Ma dove uno chef italiano fa sentire meglio il suo IO è la pasta, una tela bianca su cui dipingere la propria filosofia.
Il tema del sole, cuore, amore si fa sentire sempre di più nei ravioli alla genovese di mare. I bottoni di pasta all’uovo sono gonfi di un ripieno a base di polpo e cipolle stracotte e affumicate. Il condimento è secco e diretto: tre salse, una all’erba cipollina, una al fegato di polpo – per estrarlo una fatica, mi rivela lo stesso Chef -, una all’acqua di polpo ridotta. La pasta è tonda come tondo è il posto e il suo padrone – giuro non l’ho detto io.

Sempre di stampo campano – flegreo è la bavetta aglio e olio mantecata con un pil pil di baccalà ottenuto dagli scarti del baccalà (ossa, pelle) ricchi di collagene e albumina. A rafforzare il sapore di pesce, per il motto non c’è uno senza due (?), sopra il nido di pasta si alterna il baccalà crudo alla testina del maiale, omaggio all’o’per e o’muss napoletano. Per concludere, una grattuggiata di coppiette di maiale.
A Roma non c’è la bottarga, ma c’è il maiale.
Vi sembrerà di inforchettare una pasta al burro, rinfrescata dalla dolcezza erbacea dell’aneto e dalla sapidità estrema delle coppiette di maiale grattugiate.

Idee originali che non sfociano nel sofisticato ma rimangono con i piedi per terra. Il Pipero di Ciro Scamardella è una macchina in evoluzione la cui benzina è tanta e in continuo aumento.
C’è l’idea di avere una pasticceria a parte con un carrello dei dolci finali. Tanti sono i piatti in cantiere, le materie prime da acquistare, i fornitori da coinvolgere.
E Ciro pensa e non ha paura di agire.
“Quando hai accanto una persona come Alessandro sei un passo avanti. Hai meno a cui pensare e più tempo per agire e creare”.
Alessandro se lo coccola lo chef. Le porcellane del dolce Colazione all’Italiana – a base di ricotta, grano saraceno soffiato, arancia, limone e essenza di mandarino – sono estremamente pregiate. Gli unici ad averle sono Bottura e i fratelli Roca, mi rivela Pipero stesso.
“Se vuoi puntare in alto, devi fare questo ed altro”.

Pipero fa questo ed altro perchè è un ristorante unico che diverte e rilassa allo stesso tempo senza impegnare troppo la testa. La pancia sorride e torna a casa contenta.
Torna contenta perchè nonostante abbia dovuto sopportare il peso dei tacchi e di un vestito fastidioso, ha trovato tante golose calorie.


E se non volete sentire neppure il peso delle scarpe, un trucco c’è. La prossima volta che andate a cena ad uno stellato fate come la signorina seduta alle mie spalle: venite in ciabatte, rosa sono più fashion, e, in prossimità dello zerbino sostituitele con dei tacchi a spillo da 12 centimetri e passate la serata con loro. Appena varcate la soglia dell’uscita effettuate il cambio e vedrete che non se ne accorgerà nessuno, sopratutto se nascondete le ciabatte dietro la fioriera, sulla sinistra della porta.
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