Impara le regole come un professionista in modo da poterle rompere come un artista. Il buon Picasso aveva ragione anche in questo.
Le regole, spesso, distruggono il genio e l’arte. Sono sì fondamentali, ma l’anarchia è la migliore delle condizioni di vita, se usata con saggezza e parsimonia.
Decidere per se stessi, non rendere conto di niente a nessuno: l’utopia del responsabile è dolce e dannata.
Trovarsi davanti ad un mondo senza regole è romanticamente sublime, provoca estasi e dolore al contempo. Ma per qualche breve istante è la gioia più pura che esista.

Qualche sera fa ho preso parte ad uno spettacolo anarchico e sublime senza freni in un ristorantino di pochi coperti in quel di Fontana di Trevi: Le Tamerici.

Travi a vista, legno presente e possente, luci calde e il vetro delle bottiglie più preziose che mi avvolge. Penso di essere nella più formale delle situazioni. Mi sbaglio.

Dirompente vociare dalla cucina, ecco: mi stringe la mano lo chef, Giovanni Cappelli.
Solido, robusto con la voce dura da romano burlone. Mi introduce al suo mondo, mi fa accomodare alla sua tavola, mi inizia a raccontare il suo mondo senza regole.

Grissini e benvenuto a base di zucca, spaghetto fritto, olive, prezzemolo, miele e soia. Due morsi che accennano al futuro.


Il corpo di Giovanni si sente nella batteria degli antipasti.
Candido e femminile all’apparenza il Rustico di frolla, alici, cipolla, radicchio e pecorino è forte e sapido al gusto. Pecorino e alici si combattono in un duello all’ultimo sale mentre i fidi assistenti, cipolla, radicchio e limone candito, pensano a mitigare le ire. Nota di merito alla frolla, burrosa e friabile.

Niente di più anormale e fuori dalle regole: Capesante e Foie Gras, sedano, mandorle e cioccolato. Giovanni è un maestro nel fondere i tre ingredienti più ruffiani in un unico, spiazzante ed impensabile connubio di sapori. Il mollusco dolce e burroso si avvicina per consonanza al foie gras e alla mandorla. Spicca il sedano, mediatore di gusto che stempera l’amaro – dolce del brodo di cioccolato.

Il confine tra terra e mare è labile anche nell’antipasto successivo: Polpo e Tuberi. La carne di polpo è piacevolmente callosa e tiene alta la testa davanti al topinambur in più consistenze. Buona anche la rapa croccante.

Concludo la parentesi antipasto con una godereccia terrina di coniglio. La carne sfilacciata a mano ricorda una polpetta di bollito. L’involucro esterno di pane croccante è confortante. Particolare l’uso del frutto della passione che dona acidità e ammorbidisce l’intenso patè di fegatini.

E’ l’ora della pasta. Si torna a rompere il confine tra terra e mare con i tortelli di farina di castagne ripieni di carota con gamberi rossi e prosciutto d’anatra. Il matrimonio gambero – anatra non mi è nuovo. Qui a vincere è la croccantezza della pasta e la dolcezza del ripieno che richiama il crudo di gambero e il prosciutto d’anatra, lasciato quasi in purezza.


Non per tutti è il Rombo che prende le tinte di un dessert. Il pesce è cotto alla perfezione e lasciato nella sua vera essenza. Accanto arriva lo shock: una crema ricca, simile ad una creme brulèe a base di miele, camomilla, polline e limone.

Ultimo spunto salato è il piatto migliore della serata che presto tornerà in carta e che Giovanni mi ha proposto come fuori menù: arrosticino di agnello, polpo e foie gras. Le consistenze sono paritetiche, i sapori antitetici ma complementari. L’affumicato del rosmarino rende tutto più invernale. Anche Antonino Cannavacciuolo lo ha molto gradito alla scorsa edizione di Festa a Vico.


In abbinamento un altro azzardo: Negroni firmato Drink – it di Emanuele Broccatelli.

Arrivo, dopo un percorso tortuoso, ai dolci.

Carbonara dolce. Creme brulèe al pepe nero, crumble al pepe nero, cremoso al pecorino, guanciale croccante e gelato al guanciale. Avete capito bene. E il sapore della carbonara c’è tutto.

Sempre perchè la normalità stufa, il secondo dolce che provo è a base di cocco, tartufo nero, olio extravergine d’oliva e sale Maldon. Il freddo del gelato esalta il tartufo. La piccantezza dell’olio è affascinante e aiuta a divorare il dolce.

Ma un filo d’olio conclude anche un altro dolce che siamo soliti servire ad inizio pranzo: il Pinzimonio. Giovanni lo rivisita preparando una torta morbida alle carote, un gelato al finocchio, verdure croccanti, sale, pepe e ovviamente olio. Fresco e balsamico conclude ottimamente la degustazione.

Una pesca dolce, liquirizia e menta mi sporca le mani e mi chiude lo stomaco.

La cena è finita. L’anarchia è terminata. Sono costretta ad abbandonare la tavola. Lo faccio col sorriso e la consapevolezza che qui la musica è un’altra.
Qui ci si diverte, si mangia diversamente. Niente mode e abbinamenti scontati: tutto si fa con la pancia per la pancia.



Giovanni e la sua giovane squadra stanno portando avanti una rivoluzione nel cuore del turismo più convenzionale. Un brindisi al diverso!
[Immagini: Daniele Amato]
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