Parto in medias res, come un Omero dei tempi passati, dichiarando a voce chiara che Bunker – Kitchen Club – è la prova di come un’identità tanto contaminata, quanto ben definita e autentica, possa regalare una boccata piena di aria nuova.
Bunk…che?! vi chiederete giustamente. Ecco, se non siete accaniti lettrici del GamberoRosso è difficile che abbiate già sentito parlare di questo nuovissimo ristorante nascosto in un segmento defilato di via tra Fontana di Trevi e Piazza Barberini. E anche se, per caso, siete passati per Via del Boccaccio, molto probabilmente neppure lo avete notato: una piccola targa ne annuncia la presenza. Niente di più.
Ma a cosa servirebbe il mio metabolismo iperaccelerato se non a provare tutti i nuovi ristoranti di Roma e a raccontarli nel più breve tempo possibile a voi? Ecco allora che sono stata in questo misterioso posto a mangiare quasi tutto. Quasi.
Varco la porta, scendo le scale e mi ritrovo in un locale essenziale, scuro con una decina di tavoli in legno e ferro lasciati nudi e un bancone centrale – ora destinato all’accoglienza ma pronto a diventare set di cene e pranzi più informali – con cucina a vista.
Qui lo chef e patron Nicholas Amici è pronto a dirottare la cucina romana verso mete più spagnoleggianti improntate alla condivisione.
Forte delle tecniche assimilate al fianco del tre stelle David Munoz, da DiverXo e StreetXo, Nicholas sta col passare dei giorni sempre più collaudando una cucina creativa libera da barriere, numeri e reparti.
Non c’è antipasto, primo o secondo nel menù stampato ma solo un elenco di nomi da ordinare in porzione classica o in versione tapas. Nell’ottica del “para compartir”, di ogni preparazione viene indicato il numero di “pezzi”, così da arrivare pronti al momento della condivisione.

Si può ordinare alla carta o seguire la degustazione – alla cieca – da 7 portate a 45 euro come la sottoscritta.
In un arco di tempo forse troppo lungo per l’impostazione del locale ho tastato un territorio unico e differente che tenta di raccontare nuovi gusti.

Massimo tre o quattro elementi, si susseguono in assemblaggi ricchi di contrasti. A volte quasi provocatoriamente presentati in chiave anti-estetica nel piatto. Un minimalismo, dove la pulizia del gusto genera in realtà una sorprendente ricchezza e complessità all’assaggio. Ogni esercizio è concepito e sviluppato nei minimi dettagli.
Parto da un roll di avocado con tonno bianco, pico de gallo e maionese speziata e un taco di lattuga con coda in stile vaccinara e gambero crudo.
Li mangio con le mani. Un boccone e via.

Il taco è davvero buono, ricco di sorprendenti contrasti e accenni contaminati. Digressioni dal tono tradizionale, propagate al futuro in lampante armonia. Una classica coda alla vaccinara rinfrescata da erbe aromatiche e mitigata dal gambero crudo che alla fine dell’assaggio arriva diretto al palato.
Il roll è più classico e scontato ma comunque buono.

Proseguo con Obsie blue – una specie di mazzancolla / gamberone viola – con asparago in “escabeche” – la versione spagnola della scapece partenopea – panna acida e mirtilli. Piatto complesso, grasso e acido con una nota amara finale che può dividere come intrigare.

Si vola dal dolce, al minerale, al balsamico, con la sapidità verticale del brodo di funghi a fungere da chiave di volta dell’Uovo in sottobosco: un uovo di quaglia in camicia con funghi e verdure di stagione. Il brodo è un gran brodo, terroso e appena sulfureo.

Molto, molto ruffiani i totanetti ripieni di stracotto di maiale con salsa brava e salsa aioli. Un totanetto, massimo due a testa e sarete felici. Affumicati, appena piccanti, dolci e molto maialosi, vi piaceranno sicuramente. Inutile abbandonarsi in tecnicismi: questo piatto merita solo di essere mangiato.

I due carboidrati provati mi hanno entrambi entusiasmato. Uno su tutti è il tortello con cozze, mortadella e salsa fresca al pomodoro. Scioccante al nome, scioccante al palato. Mangiatelo con le mani, usando il velo di mortadella come fosse un taco. Iodio sapido e poi dolciastro, tiepido e appena calloso, un mix di sensazioni altisonanti che divertono ed entusiasmano, almeno me.

Lo spaghetto al pomodoro freddo con fonduta leggera di parmigiano è un piatto più confortevole, quasi classico.

Termino il reparto salato con un lingotto di pollo al vapore con gambero rosso crudo e salsa al cioccolato fondente e peperoni. C’è Ferragosto, c’è Sud America e c’è tecnica. La salsa è geniale, non compre ma esalta ogni singolo elemento. Forse il pollo è andato oltre cottura, ma nel complesso è un bel piatto.
Crostatina alle mele e crema pasticcera, classica e instancabile e poi?
Non c’è niente di meglio di una torta di cioccolato con aglio nero, salsa di soia e caramello non credete?

La sala è coordinata da Guido Sardi, anche lui in arrivo da esperienze internazionali. Sul fronte vino è sempre Guido a pensare alle bottiglie, 50, di provenienza italiana e non, con un occhio alle etichette naturali.
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