Lasci Roma per teletrasportarti in un ritrovo bucolico inaspettato, sulla cima di quei Castelli che tutti associano a pane, porchetta e vino bianco a basso prezzo.
Lasci Roma, obbligatoriamente con la macchina – quindi munisciti di patente mi raccomando – e ti ritrovi a Monte Porzio Catone a 400 metri sul livello del mare in 35 ettari di terreni che, nel 1996, su intuizione di Armando Mergè e di suo figlio Felice, furono trasformati nell’azienda vitivinicola Poggio Le Volpi.
Qui negli anni, selezionando solo i vitigni più adatti – Malvasia del Lazio e Trebbiano in primis – e le uve migliori, rimanendo fedeli alla filosofia famigliare e cercando di esprimere sempre al meglio il concetto di terroir, nascono gioielli enologici come l’Epos Frascati Superiore Docg, l’Asonia Frascati Doc Spumante, il Donnaluce Lazio Igp (a base di Greco e Chardonnay), il rosso di punta Baccarossa Lazio Igp e tutte le altre etichette firmate Poggio Le Volpi.
Nel 2014 la svolta: Felice Mergè sente l’esigenza di creare un filo diretto con il consumatore e crea così un suggestivo spazio immerso nei vigneti: l’Enoteca Poggio Le Volpi Wine&Food.
Vino e cibo assieme, un binomio gemellare quasi impossibile da scindere, qui, alle porte di Roma, raggiunge l’apice della qualità.
Infatti, a guidare le cucine di Epos e Barrique, le due realtà di cui si compone l’azienda, c’è Oliver Glowig, uno chef dalla storia per nulla scontata.

Cresciuto rimbalzando dal clima rigido del länder della Sassonia-Anhalt ai paesaggi italico/mediterranei di Capri e Monaco di Baviera, Glowig ha saputo alimentare la sua passione per la cucina fin da piccolissimo. Attingendo e carpendo ogni tratto culturale che ha segnato il suo percorso. Fedele alle proprie idee, ha coltivato una formazione fluente e completa. Capace di contemplare la modernità solo dopo aver interiorizzato basi classiche con una disciplina ferrea e immune da recinti mentali. In viaggio: dal ritrovo campano di Grand Hotel Quisisana di Capri, sotto la consulenza del mentore Gualtiero Marchesi, con il quale successivamente lavora anche nell’omonimo ristorante di Erbusco sino al ristorante Ristorante Acquarello di Monaco di Baviera dove ha conquistato la prima stella Michelin. Poi, il ritorno nell’isola al Capri Palace Hotel & Spa dove, nel giro di pochi anni, ottiene prima 1 e poi 2 stelle Michelin. Nel 2011 finalmente Roma in un locale che porta il suo nome, presso l’Hotel Aldrovandi Villa Borghese dove conquista 2 stelle Michelin. Cinque anni più tardi una nuova sfida presso il Mercato Centrale di Roma dove Oliver crea il suo bistrot, “La Tavola, il vino e la dispensa di Oliver Glowig”, rendendo la sua cucina sempre più facile e popolare.
Ma poi, tocca il nuovo, riscoprendo il classico: accoglie la proposta di Felice Mergè di creare con lui un nuovo ristorante.
Oggi Oliver è a capo di questo “hub del gusto” che è Poggio Le Volpi, sia nella veste gourmet di Barrique che in quella bistrot di Epos.
Pochi giorni fa sono stata da Barrique, situato al piano inferiore della struttura.
Qui Glowig si è ritagliato un playground incontaminato per scatenare a pieno la sua identità. Saldata dalla foggia di una romanità elegante e gentile, tenacemente evocativa. Ma anche da una volontà incessante di scrutarsi attorno con interesse e ricettività plasmabile: incorporando contaminazioni ragionate e skills moderne assimilate in coerenza al suo stile.

Il primo impatto, varcata la soglia, è puramente estetico: meno di 20 sedute avvolte da cromatismi ed elementi boschivi, in cui dominano l’oro ed il nero. Foglie di vite usate come stencil, reperti incastonati con la terra alle pareti e alle cornici: opere d’arte, realizzate con un lungo lavoro di patine su metalli preziosi, che si percepiscono come se fossero dei frammenti riemersi dal terreno, a voler rimarcare il rapporto simbiotico con la terra stessa. L’intero lavoro architettonico, curato dallo studio Mama Design di Matteo Antonelli e Andrea Miscoli, con l’indispensabile lavoro di Luca De Felice, vuole cadenzare l’esperienza attraverso il timbro dei differenti colori e materiali.
Roberto Ortolani di Natura e Architettura si è occupato invece degli aspetti paesaggistici.
All’esterno un boschetto – ricreato con le piante scelte tra quelle protette del Parco dei Castelli Romani, dal cerro alla quercia, dalla ginestra odorosa alla rosa canina.
Ma cominciamo a mangiare.
L’intero percorso degustazione è scandito da piatti snelli, diretti e leggibili. Avvicinandosi al cliente, alla familiarità del convivio, senza traviare il proprio carattere, Oliver Glowig mi fa assaggiare un’offerta dal verbo classicheggiante, dal candore burroso.

Solcando tracciati altamente tecnici e citazioni storiche oltre-tempo si parte dall’appetitoso e incisivo aperitivo con mini supplì cacio e pepe; chips di trippa di baccalà e peperone affumicato e borragine in pastella con mozzarella di bufala: perfetta evocazione di gusti tradizionali in formato infantile.


Piccola pausa goduriosa e godereccia con il burro di Normandia griffato “Barrique” da spalmare sul pane caldo appena sfornato, o alle noci o integrale. E se non sei amante del burro, non temere: c’è anche l’olio extra vergine accuratamente selezionato.

Si sale di livello con un antipasto completamente vegetariano: cotto e crudo di frutta e verdura. Tante tipologie di frutta e verdura, tagliate, cotte o semplicemente marinate, in modi e tempistiche differenti. Un piatto apparentemente monotono che nasconde sorprendenti sfumature di sapore.

Concessione alla rotondità senza soffocare l’ardore di texture e contrasti con lo scampo crudo con burrata e cuore di carciofo. Un signor scampo lasciato crudo, accolto nel cuore del carciofo cotto quasi alla romana, a bassa temperatura. A impreziosire il tutto? Foglia d’argento.

Esercizio che convoglia la potenza inviolabile dell’haute cuisine in un abito quanto mai essenziale, fine e moderno è l’elica cacio e pepe con ricci di mare, piatto icona dello chef, baluardo della sua cucina.
La potenza di questo leggendario piatto romano viene domato dalla sapidità iodata del riccio e dalla freschezza del finocchietto selvatico.

Spaghetti alle erbe di campo e anguilla affumicata, memorabile sunto e omaggio alla terra che ospita lo chef. Cottura magistrale della pasta che conserva nervo e grano. L’affumicato del pesce poi solleva il piatto a tinte carnivore.

Non da meno è l’opulenza elettrizzante del Capriolo in crosta di olive e frutta secca con topinambur.
Cottura vera, verace, senza intermediari.

Nel dessert trovo l’ennesimo eno-abbinamento centrato a rallegrare il bicchiere: semifreddo al caffè e cannella, bietola candita, yogurt e melograno.
Il prezzo medio (vini esclusi) si aggira tra i 70 e gli 80 euro a persona. Stessa cifra, 80 euro, per il menu degustazione di sette portate.
Grande importanza riveste naturalmente la carta dei vini, unica per entrambe le realtà ristorative. Si parte da quelli “a metro zero”, con tutte le etichette Poggio Le Volpi e quelle dell’azienda “sorella” Masca del Tacco. Ma il volume è davvero ampio e variegato: spazia dalle migliori cantine italiane a nomi blasonati del panorama internazionale, con la Francia a farla da padrona grazie alle prestigiose referenze di Champagne, Bordeaux e Borgogna. Plus fondamentale le “dritte d’autore” firmate da un sommelier del calibro di Luca Boccoli, con alcuni vini dall’incredibile rapporto qualità prezzo. A rotazione il servizio al calice.
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