Da Roma neanche un’ora di macchina ci si impiega per raggiungerla. Una gita fuori porta verso Villa Adriana, Villa d’Este o Villa Gregoriana con il sole che batte sul tergicristallo e la musica a palla che implode da dentro la macchina.
Non avete ancora capito la destinazione? Sto parlando di Tivoli, una città sempre mascherata dall’incombenza della Capitale tanto per monumenti quanto per cucina. Eppure Tivoli nasconde tante piccole e grandi realtà che vanno osservate, perlustrate e gustate con tranquillità e molto interesse.
Se sul fronte storico non sono molto preparata, sul fronte gastronomico posso dire di aver qualcosa da raccontare. In particolare qualche giorno fa, prima di andare a lezione di Genetica, ho trascorso un meraviglioso pranzo al sole seduta al tavolo della Fornarina, ristorante – pizzeria di una Tivoli fuori dalle righe.


90 coperti sviluppati su più sale arredate in maniera diversa con colori accesi e caldi al contempo, tavoli tondi o meno in marmo o legno e tanti materiali di riciclo come il ferro battuto sono il contenitore di un goloso contenuto cucinato quotidianamente da Simone Mancini, un giovane ed appassionato chef, sperimentatore di abbinamenti estrosi e per nulla scontati.

Il suo è un menù atipico per la città con una grande attenzione al pesce e alle verdure di stagione.

Accanto alla sua proposta c’è il reparto pizza sotto la consulenza del maestro pizzaiolo Duilio Girotto, vincitore e attuale giudice del campionato mondiale della pizza di Salsomaggiore, insegnante in molte scuole a Roma e collabora con il Gambero Rosso e Coquis. Appositamente per il ristorante ha ideato un impasto integrale fragrante e profumato non eccessivamente soffice nè croccante, un ibrido tra romana e napoletana. E i condimenti? Dai classici ai gourmet ispirati ognuno ad una regione italiana dalla Puglia con capocollo di Martina Franca e burrata pugliese alla Toscana con fior di latte, carciofi, salame finocchiona e parmigiano.


Ma veniamo al mio pranzo: tre ore di puro godimento tra pesce crudo, pasta ripiena e spicchi di pizza fumanti.
Inizio la degustazione con un rocher di picchiapò, classica ricetta romana a base di bollito di manzo ripassato in padella con un sugo di pomodoro. La sfera, soffice all’interno, è ricoperta dalla granella di nocciole tostate, grassa e croccante. Il tutto è da intingere nella crema di carciofi profumata alla menta romana.

Secondo assaggio: tiramisù di baccalà. Un baccalà mantecato arricchito di crema di patate e polvere di cacao. Salato, dolce, amaro si inseguono in un circolo vizioso di sapori golosi che non smetteresti mai di mangiare.

Gioco di parole per il prossimo antipasto: tartare di fragolino – è un pesce per chi non lo sapesse – marinato al mojito con tartare di fragole e salsa di fragole. Un antipasto fresco e profumato, un omaggio alla primavera rinvigorito dalla profondità dell’alcool e gli aromi delle erbe di guarnizione.

Si passa al cotto: Capesante affumicate con guanciale, petali di topinambur, maionese al mango e cipolla rossa in più consistenza. Tanti ingredienti per un piatto di mare carnivoro e complesso che gioca tra l’acido e il dolce. La composta di cipolla rossa è la vera protagonista dell’antipasto, esaltata ancor di più dalla sferificazione della stessa. La capasanta è cotta a puntino, estremamente succosa e ingrassata dal guanciale croccante. Il mango pulisce la bocca.

Avresti mai pensato di trovare il barracuda a Tivoli? Ecco alla Fornarina è possibile. Direttamente dalla Sardegna questo pesce viene appena scottato e servito con una serie di verdure in più consistenze: la scarola liquida, l’agretto appena sbollentato, il friggitello ancora croccante e il rabarbaro in carpaccio. Un’apoteosi di gusti che tuttavia non interferisce con il pesce.

Concludo la batteria degli antipasti con la verdura: parmigiana di melanzane, in versione 2.0. Si tratta di cannoli di melanzane fritti ripieni di burrata su vellutata di pomodoro e basilico. Sicuramente è il mio antipasto preferito, ottimo nei sapori e nelle consistenze.

Due i primi che assaggi: ravioli cacio e pepe con gamberi, asparagi e salsa di mandarino allo zenzero e carbonara di mare.
Il primo è un piatto complesso ancora una volta ricco di ingredienti che ben dialogano fra loro: la pasta leggermente spessa raccoglie un ripieno liquido di pecorino e pepe non eccessivamente sapido. Il gambero è lasciato crudo sia intero che in tartare. Gli altri elementi sono un vezzo, quasi superfluo, che però diverte il palato facendogli vivere delle montagne russe di gusto.

Gli spaghettoni di Gragnano alla carbonara di mare con uova fresche di dentice, bottarga di muggine e limone sono più piacione e golose. Saporite ma delicate al contempo.

Un’eccezione al pesce la fa il secondo: anatra alla liquirizia con zucca e porri. Ottima la cottura della carne e la fattura dei contorni che ben blianciano la grassezza della proteina. La liquirizia conferisce corpo e struttura al piatto che conclude l’assaggio salato.

E per dessert? Caffè, whisky e arancia elaborati in consistenze differenti e gradevoli.
Concludo in quasi leggerezza un pranzo maratona che sai quando cominci ma non sai quando concludi. Un’esperienza diversa per Tivoli, gradevole ed entusiasmante che desidero ripetere. E il bello sta nell’evoluzione dinamica della carta che Simone aggiorna di continuo con proposte del giorno. Quel martedì ho trovato la Carbonara di mare e la cacio e pepe: chissà oggi cosa uscirà dalla padella?
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