Se qualche romano mi dovesse chiedere dove andare a mangiar pesce la mia risposta sarebbe “Eur”.
In quel di Roma Sud si stanno concentrando una serie di ottimi ristoranti di pesce. Ma non i classici da spaghetto a’ vongole e insalata di mare. Si tratta di ristoranti giovani e popolari che cucinano pesce locale in maniera innovativa.
Qualche tempo fa vi parlai del Fungo di Mirko Ceravolo, oggi invece vi racconto di un’altra piccola chicca nascosta tra i boschi e vialoni di quella Roma lontana dal fermento capitolino: Bistrot 4.5 Via Amsterdam.

La storia di questo locale è densa e travagliata: nasce come ristorante -pizzeria da grandi numeri e diventa piccolo gioiello elitario da 30/40 coperti a sera: un’involuzione in termini di numeri, un’evoluzione in termini di qualità.

Ora da Bistrot 4.5 si assaggia una cucina d’autore, sincera ed autentica non reperibile in nessun altro angolo della città. E questo è grazie allo chef Guido Boemio che dal 2017 ad oggi è cresciuto con il ristorante.
Nato con le branchie – così dice lui – Guido ha sempre respirato lo iodo del mare. E questa pulce sapida e salmastra che gli riempie il corpo si riversa e concretizza nei piatti che propone, quasi esclusivamente di mare.
Forte di una tecnica rodata negli anni nei più prestigiosi ristoranti e alberghi d’Italia e non solo, lo chef ardisce accostamenti insoliti che miracolosamente al palato si incontrano in una piacevole sinfonia.
La sua cucina è gustosa, ricca, trasversalmente e filologicamente italiana, densa di erbe, odori e sapori di casa.
Lo sgombro marinato a secco e poi affumicato è scenografico e colpisce subito l’olfatto, mentre al gusto è confortevole perchè associato ad una classica parmigiana di melanzane, rivisitata nella forma e nella cottura.


Le capesante lardellate e servite con una spuma di zucca vengono risvegliate dalle note acide e balsamiche della mostarda di Cremona, mentre il palato ride allo scrocchiare dei taralli sotto la bocca.

Poi c’è il godimento ruffiano del raviolo paffuto ripieno di gamberi battuti al coltello con tartufo nero e burrata. Il binomio gambero – burrata è ormai una sicurezza. Qui la dolcezza viene spezzata dalla nota più terrosa e quasi metallica del tartufo nero grattugiato a crudo.

Dopo il godimento, il divertimento che chiama a sè quotidianità. Il gesto di avvolgere lo spaghettone al dente mantecato in un sugo fitto di olio e polipetti è quanto di più italiano c’è al mondo. Ma c’è una sorpresa, un qualcosa di inaspettato: la coppietta di maiale grattugiata come fosse bottarga. Anche Ciro Scamardella la tratta in questo modo in una bavetta aglio e olio mantecata con pil pil di baccalà.

Finisco il salato con il mio piatto preferito: Pesce in zuppa.
Non dovrebbe chiamarsi Zuppa di pesce? E non dovrebbe essere un primo piatto? E’ qui il bello, è qui la provocazione dello chef che ribalta le carte, esalta il pesce e la sua carne. Non lo stracuoce nè lo annega in un sugo ricco che ne sovrasterebbe il sapore. Sfiletta i vari pesci, apre i mitili e sguscia i crostacei; li arrostisce, condisce e posiziona sul piatto con dei crostini di pane. A parte c’è la salsa preparata con gli scarti saporiti delle materie prime precedentemente lavorate. E’ sapida, dolce, densa, quasi appiccicosa al palato. Viene servita al momento al cliente con delle punte di salsa di latte di cocco e delle foglie di coriandolo a dare balsamicità.

Un dolce al cioccolato bianco e kumquat a pulire la bocca e la cena si è conclusa.
Una buona cena, senza pretese, che ha superato le aspettative.
Il locale, la tavola, il servizio è semplice, non artefatto ma puro e schietto. Lascia parlare la cucina che ha tanto da raccontare.

La scelta dei vini è singolare e particolare. Il sommelier e maitre, Ruggero Penza, conosce molto bene lo chef e lo riesce ad interpretare nel modo migliore possibile. Sala e cucina dialogano, e dialogano bene.
Da Bistrot 4.5 puoi fermarti per una cena veloce oppure per una degustazione più lunga, alla cieca o a carte scoperte. Puoi mangiare un’insalata veloce a pranzo o un semplice caffè nel pomeriggio.
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