Fa freddo. Freddissimo.
Canottierina della salute, calze, calzoni, cappello che ti copre orecchie, fronte e pure le sopracciglia, guanti e sciarpa e si esce di casa. Questa è la regola a Roma da metà novembre fino a fine febbraio.
Tutti i possibili stracci di lana finiscono sul nostro corpo per alzare di qualche grado la temperatura interna.
Ma sapete qual è la cura migliore all’inverno tempestoso? Un pranzo in trattoria. Al caldo, accanto al termosifone, mangiando di gusto forchettate di paste calde, brasati al Barolo e polpettine fumanti.
E allora io e la mia freddolosa amica Diletta, un martedì uggioso, abbiamo deciso di scaldare lo stomaco al ristorante Ditirambo, a due metri, ma proprio due, da Piazza Campo dei Fiori.

In groppa al motorino, col vento gelido fra i capelli, siamo arrivate alla destinazione: un piccolo locale dall’atmosfera intima e familiare. Tovaglie a quadretti, sedie in legno, luci soffuse e profumo di cucinato caratterizzano l’ambiente. Alle pareti gli scatti di un amico di Edoardo Micozzi, il proprietario assieme a Luca Tenderini e Beatrice Gazzelloni: tracce di viaggi che raccontano il cibo in maniera personale, dall’Uzbekistan a Trastevere.
Il ristorante, aperto dal 1995, ha sempre avuto in cucine donne: dalla sfoglina di 75 anni che cucinava dei malfatti alla ricotta con farina di mandorle e fiori di zucca da perderci la testa, ad Antonia, calabrese doc.
Ed ora da un paio d’anni a guidare le redini della cucina c’è Antonio Giordano, piemontese d’origine ma romano di formazione.
Antonio propone una cucina romana, in omaggio a Roma e alle sue bellezze con piccole divagazioni piemontesi.
Lazio e Piemonte, da una parte il grasso caloroso e avvolgente del guanciale, dall’altra il fuoco vivo del vino rosso, dei formaggi filanti e delle polente morbide. Bene, il Ditirambo è il posto che fa per noi.

Scattano le 13:00, affamatissime dopo quattro prosciuganti ore di lezione ci fiondiamo a tavola e iniziamo a divorare il cestino del pane.
Il casereccio è di Pane e Tempesta, considerato uno dei forni – pizza al taglio migliori della Capitale, mentre la focaccia è fatta in casa. Calda, salata e unta il giusto.

E mentre sgranocchiamo questo fantastico carboidrato ecco arrivare a rotta di collo una super batteria di antipasti.
Il benvenuto offerto è un crostino di polenta con baccalà mantecato e barbabietola caramellata. Abbinamento classico preparato a regola d’arte dove il sapido del baccalà (uno dei pochi baccalà mantecati che sa di baccalà e non di latte, panna e olio) viene smorzato dalla dolcezza della barbabietola.

Dal mare alla terra con il vitello tonnato. Piatto anni 80? Si ma non è un problema. Perchè dovremmo bistrattare quell’epoca con i suoi piatti così dannatamente cremosi, pannosi e assolutamente invernali? E comunque il vitello tonnato del Ditirambo è un grande vitello: la carne è rosa, umida al punto giusto perchè cotta delicatamente a bassa temperatura. La salsa è ruvida, tonnosa oltre che tonnata con una piacevole nota acidula in sottofondo.

Ora torniamo a Roma con un piatto vegetariano, descritto sulla lavagna: carciofo, pecorino e crumble al limone. Il fiore più bono di Roma, la carne dei vegetariani, l’unico ortaggio a possedere un cuore è lui. Antonio lo cuoce a bassa temperatura e lo serve con una fonduta leggera di pecorino e un crumble davvero, davvero memorabile alleggerito dalla scorza di limone. Azzardo dicendo che è il piatto migliore dell’intero pranzo. Diletta conferma.

Ultimo antipasto (oh avevamo fame oltre che freddo) è in bilico tra Lazio e Piemonte: polpette di bollito e salsa verde. In questo caso le polpette sono cotte in forno, aspettatevele morbide, carnose, fumanti e coccolose. La salsa verde crea dipendenza, vi avverto in anticipo.


Un primo piatto. E che pasta potevamo ordinare se non lei, la regina del colesterolo? La mia migliore amica Carbonara, oggi in formato spaghetti. Qui al Ditirambo è delicata, non spiccatamente sapida ma equilibrata nel dosaggio di pecorino, uovo e pepe di Sezchuan dalle note limonate. Menzione sulla pasta, trafilata in bronzo direttamente da loro.

Un assaggio di brasato al Montepulciano con purea di sedano rapa e si vira sul dolce. Ma ve lo dico, prima di virare sul dolce, dopo la carbonara, non esitate a farvi un assaggio di carne. Anche se siete pieni. Anche se state per morire.

E come dolce? Beh ormai scaldate dalla bontà del manzo optiamo per un bel gelato al pistacchio e pepe nero fatto in casa. Un gelato estremamente cremoso che paradossalmente scalda ancora di più.

Bene, pranzo finito e missione compiuta. Il cibo ci ha scaldato: siamo pronte per uscire dalla porta ed affrontare la stagione.
Un grazie anche a Simone Puorro, braccio destro e sinistro dello chef e alla sala guidata da Emiliano Grappasonni a pranzo e Daniele Gennaro a cena.
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